Napoli Milionaria! è una commedia scritta da Eduardo de Filippo all’indomani della Liberazione. Fu messa in scena per la prima volta il 15 marzo del 1945 al Teatro San Carlo.
L’intera opera è ambientata in un basso napoletano, negli anni difficili della Seconda Guerra Mondiale e ha come fulcro gli escamotage escogitati da una famiglia, per la lotta alla sopravvivenza.
Gennaro Iovine è il capo famiglia, ma la sua autorità è messa in discussione dalla presenza ingombrante della moglie Amalia.
Quest’ultima gestisce la vendita abusiva del caffè nel rione e la borsa nera dei generi alimentari. Gennaro, pur non approvando questo commercio, non è in grado di offrire una soluzione alternativa alla propria famiglia, per cui è costretto a piegarsi a questo stile di vita.
Come dimostra la vicenda del “finto morto”: a causa della spia di una concorrente, la famiglia Iovine entra sotto l’occhio della polizia. Il controllo effettuato dal brigadiere Ciappa, impone a Gennaro di stare nel letto e fingersi morto, circondato da finte suore e parenti in profondo cordoglio, al fine di salvaguardare i viveri presenti sotto il letto, oggetto del contrabbando da Amalia e fonte dei guadagni della famiglia.
Nel mezzo della verifica del brigadiere comincia un bombardamento, che vede l’uscita di scena della maggior parte dei presenti in casa, per andare a rifugiarsi al ricovero. Ne deriva un dialogo poi tra Ciappa e Gennaro, che “risorge” solo dopo la promessa di non essere arrestato.
Un destino crudele attende, tuttavia, Gennaro, che sarà fatto prigioniero di guerra e trascorrerà più di un anno lontano dalla famiglia.
Il secondo atto si apre con la stessa ambientazione, ma un cambio di scena. Il basso appare completamente ristrutturato, mentre Amalia, la figlie Maria Rosaria e Rituccia e il figlio Amedeo sono ben vestiti. Si respira un’aria di benessere generale.
Ognuno sembra aver raggiunto un apice all’interno della società post-guerra. La fonte di questo benessere, tuttavia, è transitoria e si dimostrerà fallace alla fine della commedia. I traguardi raggiunti, infatti, non sono frutto di un vivere onesto, ma dei traffici condotti e dalle ruberie di Amedeo.
Le condizioni economiche mutate, infatti, sono dovute a un allargamento degli affari di Amalia con Settebellezze, con il quale non solo la donna stringe un rapporto di stretta collaborazione, che sfocia anche in una sorta di relazione sentimentale.
Allo stesso tempo Amalia teme il ritorno di Gennaro, per cui non si lascia andare pienamente ai sentimenti. Proprio nel giorno del compleanno di Settebellezze, Gennaro fa il suo ritorno a casa.
Qui viene accolto da tutti bonariamente, ma nessuno è interessato ad ascoltare le storie che ha da raccontare.
Gennaro insiste, a differenza degli altri, che la guerra non è finita. Rimangono, infatti, le battaglie quotidiane da affrontare. Maria Rosaria, la figlia maggiore è incinta di un soldato statunitense, che va via venendo meno alla sua promessa di sposarla.
Gennaro scopre, avvisato dal brigadiere Ciappa, che anche il figlio è oramai dedito al crimine e che accompagnandosi a tale Peppe ‘o Cricco si è dato al furto di pneumatici.
Nel terzo atto il dramma si fa ancora più evidente. Gennaro scopre, avvisato dal brigadiere Ciappa, che anche il figlio è oramai dedito al crimine e che accompagnandosi a tale Peppe ‘o Cricco si è dato al furto degli pneumatici ed è prossimo a essere arrestato.
Rituccia, la più piccola delle figlie si scopre essere gravemente malata, diventando quasi un simbolo dell’innocenza e dei valori che sono andati persi, per via dell’arte di arrangiarsi.
La situazione della piccola appare disperata. Tutti nel rione si danno da fare per aiutare la famiglia, ma non si riesce a trovare la medicina adatta. Amalia, sdegnata, crede che la medicina venga appositamente nascosta per alzare il prezzo. Un meccanismo che lei stessa ha messo in atto per tanto tempo e adesso depreca.
In questo quadro di disperazione fa la sua ricomparsa il ragionier Spasiano, che abbiamo incontrato anche negli atti precedenti, come succube dei ricatti di Amalia, per ricevere viveri sufficienti per sfamare i suoi bambini.
Amalia, sfruttando la sua condizione di bisogno, lo ha gradualmente spogliato di tutti i suoi averi e proprietà.
“Donn’Amalia la medicina che il dottore ha prescritto per vostra figlia ce l’ho io…Eccola qua”.
Amalia trasecola a questa notizia pensando a tutto ciò che ha sottratto all’uomo, quindi, credendo che si tratti solo di una questione di prezzo, non abbandona il proprio atteggiamento duro.
In questo caso il ragionier Spasiano annovera tutto ciò che donna Amalia gli ha sottratto e all’obiezione della donna: “Ma chest’è medicina”, arriva la spiazzante risposta del personaggio:
“D’accordo e giustamente voi mi dite, senza la medicina indicata si muore. Ma pecché secondo voi, donna Ama, senza mangiare si campa? Se io non mi fossi tolto la camicia i figli miei non sarebbero morti di fame? Come vedete chi prima e chi dopo deve, a un certo punto, bussare alla porta dell’altro. Si capisco, voi in questo momento mi dareste tutto quello che voglio, ma se io per esempio, donna Ama, se io mi volessi levà o’ sfizio di vedervi correre per tutta Napoli, come correvo io per trovare un po’ di semolino quando tenevo o più piccolo malato eh?… se io vi dicessi donna Ama girate, divertitevi, casa per casa, portone per portone, ma io questo non lo faccio. Ho voluto solamente farvi capire che se a un certo punto non ci stendiamo una mano l’uno con l’altro…a voi dottò… e speriamo che donna Amalia ha capito. Auguri per la bambina. Buonanotte”.
La bambina riceve la medicina. Soli, a questo punto, Amalia tenta di giustificare le sue scelte di vita, sostenendo la necessità di aver fatto quello che ha fatto per una sorta di difesa della famiglia. Allo stesso tempo sente ancora più forte il biasimo del marito.
Gennaro, da la sua visione dei fatti, adducendo come prima causa dello sfascio della famiglia il forsennato accumulo dei soldi. La rincorsa per il profitto ha fatto perdere ad Amalia il controllo sulla situazione familiare.
Gennaro si rifiuta di cacciare la figlia incinta, si rifiuta anche di prendere misure estreme nei confronti della moglie, riflette su come le dinamiche vissute abbiano portato la famiglia a disgregarsi. Così come per la guarigione della bambina, anche la famiglia deve guarire: “Mo avimm’aspetta’, Ama… S’ha da aspetta’. Comme ha ditto o’ dottore? Deve passare la nottata.
Appena cinque anni dopo l’uscita sulle scene della commedia, fu realizzata una versione cinematografica, a cui prese parte anche Totò. La commedia è stata riadattata anche come opera con libretto sempre a opera di Eduardo de Filippo e musiche a cura di Nino Rota.