La sua imponenza è il tratto distintivo di Procida, il primo elemento che salta agli occhi anche quando si osserva l’isola in lontananza.
Diciamo la verità: non c’è persona la cui attenzione non sia stata immediatamente rapita da questa sontuosa costruzione a strapiombo sul mare, che connota in modo iconico l’isola di Procida più di qualunque altro edificio presente.
Parliamo naturalmente di Palazzo d’Avalos, conosciuto anche come ex carcere borbonico, che domina su tutta l’isola dall’altura di Terra Murata.
La storia di Procida è inevitabilmente scandita e segnata dalle vicissitudini di questa fortificazione e della famiglia D’Avalos, che ne ordinò la costruzione nel lontano XVI secolo.
Il cardinale Innico D’Avalos, appartenente alla dinastia che governò l’isola per almeno 2 secoli, fece costruire il Palazzo affidando l’incarico agli architetti Cavagna e Tortelli; nel 1830, durante la dominazione borbonica, l’edificio fu trasformato in carcere, funzione che venne mantenuta fino al 1988.
Si può dire che la fondazione di Palazzo d’Avalos diede l’avvio allo sviluppo urbano dell’isola grazie al collegamento diretto con la Corricella, zona nella quale sorse poi uno dei primi borghi di Procida.
All’interno del carcere borbonico conobbero la prigionia personaggi e uomini politici di altissimo spessore, tra cui possiamo annoverare Luigi Settembrini, Cesare Rosaroll e Palmiro Togliatti.
La storia trasuda da ogni singola parete del Palazzo, all’interno del quale tutto è rimasto immobile, intatto: le celle e gli androni rinascimentali custodiscono oggetti di uso quotidiano di epoca borbonica, tra cui vecchie divise, lettini ambulatoriali abbandonati, ferraglia arrugginita, creando un clima di decadenza ma che al tempo stesso reca in sé tutti i crismi di un fascino antico, qualcosa che è andato perduto nel tempo.
E forse la magia di questo luogo dipende proprio dal contrasto tra la solennità della struttura architettonica e la dolcezza del paesaggio, una delle più grandi meraviglie naturalistiche del golfo di Napoli.
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